GSS - 364-1364 Li/SV - BURANCO di BARDINETO - GRUPPO SPELEOLOGICO SAVONESE

GRUPPO SPELEOLOGICO SAVONESE
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GSS - 364-1364 Li/SV - BURANCO di BARDINETO

IN GROTTA
Regione:Liguria
Provincia:Savona
Comune:Bardineto
Località:Castellaro
Area Carsica:SV 20
Quota dellIngresso:770 m slm
Dislivello:-100 m
Sviluppo Reale:2060 m



Nota Bene: L'accesso di questa cavità é regolamentato.

Il Comune di Bardineto, concordemente alla Soprintendenza  Archeologica della Liguria, ha provveduto a installare un cancello di chiusura alla grotta, onde proteggere la cavità più importante della Val Bormida dal punto di vista preistorico.
Per ottenere il permesso di accesso scrivere a
Estratto dal regolamento:
Durante il periodo invernale, dal 1° ottobre al 30 aprile, è vietato l'ingresso per la tutela dei chirotteri...
E' vietato l'ingresso in grotta con illuminazione a carburo...
Il numero massimo di visitatori compresi gli accompagnatori è di 15 persone al giorno...

Il sistema carsico del Buranco di Bardineto  
La grotta si apre a 685 m slm ed e percorsa da un torrente stagionale (3-50 1/s), probabilmente correlato al flusso quasi perenne della vicina sorgente Cascinasso (completamente secca solo in periodo di forte siccità). La zona di alimentazione del Buranco non è ancora ben definita: certamente vi sono apporti idrici dalle doline della  sovrastante dorsale montuosa della Vigna e della Custea de l'Uviu da Gaiéna, oltre che dal tratto più a valle del Rio Avoiai e probabilmente anche dalle pendici di Monte Mezzano e Bric Cormoruzzi (che sul versante  settentrionale presenta alcune grandi doline), mentre allo stato attuale delle ricerche é solo ipotetico un collegamento con l'acquifero carsico delle Dotte. E' inoltre probabile che dai sifoni a valle della grotta l'acqua defluisca pure verso la Fontana Garesca, che sgorga 300 metri più a valle, ma i tracciamenti idrologici eseguiti dal GSS DLF ancora non lo hanno dimostrato.

Note Geomorfologiche  
Il Buranco, si apre ad antro a quota m 685, a destra della strada  provinciale Bardineto-Calizzano: generalmente in primavera, allo scioglimento della neve, o comunque in occasione di forti precipitazioni, ne scaturisce un torrente stagionale (il Rio Buranco), che l'adiacente strada scavalca con un piccolo ponte. Alla conclusione di anni di lavori e di esplorazioni condottivi dal Gruppo Speleologico Savonese DLF, il Buranco presenta uno sviluppo complessivo di due chilometri di cunicoli e gallerie, distribuiti su un dislivello di 100  metri. Le gallerie, prevalentemente sub-orizzontali e impostate su  interstrato, si articolano su sette piani sovrapposti (solo in pochi  punti sono collegati tra loro da più ripidi passaggi), sviluppatisi in epoche diverse e correlati all'evoluzione geomorfologica della valle della Bormida. L'ingresso inferiore non e percorribile, in quanto a pochi metri dall'imbocco un sifone sbarra il cammino anche negli anni di maggiore siccità: si accede normalmente alla grotta da un ingresso superiore, una condotta freatica d'interstrato decapitata dall'erosione del versante, localizzata e disostruita nel corso delle esplorazioni del GSS DLF. I rami più alti (fossili e con abbondanti riempimenti argillosi e chemioclastici, con concrezioni e colate stalatto-stalagmitiche) si sviluppano prevalentemente in direzione Nord-Sud, con andamento circa parallelo. L'esame delle giaciture degli strati, rilevate in diversi punti e a quote diverse, evidenzia una  sostanziale omogeneità di condizioni strutturali: gli strati presentano  infatti una costante immersione ad Ovest, con pendenze attorno ai  40°-45° e direzione compresa tra i 20° e i 40°. L'ingresso superiore e costituito da una piccola condotta freatica fortemente inclinata, con cupole di corrosione e impronte da corrente, tipo scallops. Morfologie freatiche con queste caratteristiche sono presenti sulla volta di tutte le gallerie della grotta, sebbene spesso siano nascoste dal concrezionamento. Un piccolo salto immette in una galleria più ampia ad  andamento orizzontale (disposta perpendicolarmente al cunicolo di ingresso), che dopo pochi metri si allarga in una sala occupata da grossi massi di crollo, posta all'incrocio con una frattura (evidenziata sulla volta da un allineamento di cupole di corrosione). Da qui si può accedere a una grande galleria superiore, il "Ramo dei Cocci" (la  denominazione deriva dal ritrovamento di frammenti di due vasi di ceramica tardo-antica, caduti nella grotta dall'esterno, da un anfratto superiore), che si prolunga nel "Ramo dei Bardinetesi". In più punti sono presenti riempimenti, costituiti da sabbie e da ciottoli  arrotondati: i litotipi prevalenti (porfiroidi, scisti e quarziti) ne indicano una provenienza esterna. La galleria inferiore prosegue alternando vasti ambienti di origine freatica (in parte modificata da fenomeni graviclastici) a passaggi resi più stretti dal notevole concrezionamento (lungo queste due prime gallerie si osservano resti osteologici di ovini, probabilmente caduti nella grotta dall'esterno, da qualche frattura, o eventualmente buttativi da pastori per disfarsi delle carcasse di animali morti, o anche trascinativi da predatori: sono tuttora in corso di studio per la loro classificazione e datazione). Poco dopo si raggiunge uno slargo, con due grandi colonne  stalatto-stalagmitiche, a sinistra delle quali uno scivolo permette  l'accesso ai livelli inferiori. Dalle colonne, proseguendo diritto, si  può percorrere per qualche decina di metri il "Ramo delle Unghie", procedendo con cautela per la presenza dei cristalli di calcite che rivestono il pavimento della parte terminale. Alla base dello scivolo, verso Nord, inizia invece il più lungo "Ramo delle Acquasantiere", cosi denominato per la presenza di alcune grandi "gours", vasche concrezionali in parte ancora attive. In direzione opposta, verso Sud, si incontra una sala molto alta, sul cui pavimento si trovano piccole gours coalescenti (nella stagione umida lo stillicidio forma qui un  laghetto). Più avanti una potente colata concrezionale occlude la parte bassa della galleria, rendendo necessaria una breve risalita ed una  successiva discesa, lungo la stessa colata; dopo un breve tratto orizzontale, una piccola cengia immette nel "Salone President", dove la galleria si allarga: il pavimento, ingombro di massi, anche grandi,  staccatisi dalla volta, e in forte pendenza verso Nord. Seguendo l'immersione degli strati, si raggiunge una galleria articolata su due livelli: quello superiore e il cosiddetto "Ramo del Pantheon", caratterizzato dall'abbondante concrezionamento e così denominato per la presenza di una grande colonna stalatto-stalagmitica. Nella parte iniziale il pavimento e costituito da blocchi di crollo, gli stessi che formano parte del soffitto del sottostante "Ramo delle Vaschette", al  quale si accede da uno stretto passaggio tra i massi: in questa galleria vi sono diverse vaschette concrezionali, alimentate perennemente dall'infiltrazione e dallo stillicidio. Nei periodi piovosi la parte terminale della galleria è percorsa da un velo d'acqua, che si infila in una piccola condotta, sviluppata lungo l'interstrato, dalla quale si sbuca in ambienti più vasti, col soffitto costituito dal letto di uno strato, messo in luce da fenomeni clastici. Seguendo l'interstrato, fortemente immergente ad Ovest, si raggiungono le gallerie inferiori, caratterizzate da quattro sifoni. Presenti anche in condizioni di  siccità, quando tra l'uno e l'altro non scorre a pelo libero il torrente sotterraneo. Il livello dell'acqua di fondo oscilla notevolmente tra i periodi di piena e quelli di magra, riducendo stagionalmente la percorribilità di alcune gallerie. L'andamento complessivo della grotta segue la direzione Est-Ovest, ma le gallerie si sviluppano secondo il controllo strutturale di due insiemi di fratture tra loro ortogonali, orientati circa N45°E e N135°E. Seguendo il corso del torrente, attualmente in fase corrosivo-erosiva, si notano in più punti marmitte dovute al moto vorticoso delle acque. In questo tratto la volta della galleria e molto alta; in alcune rientranze, un paio di metri al di  sopra del torrente, sono presenti depositi ciottolosi poligenici cementati, che testimoniano una fase di riempimento su un livello più alto dell'attuale. Si arriva presto ad uno slargo, occupato nei periodi di piena da un lago sifonante. In altri momenti è invece possibile seguire la galleria ancora per una ventina di metri, tra abbondanti depositi argillosi, che spiegano il nome di "Sifone del Pantano". I tracciamenti idrologici e l'esplorazione subacquea condotti dal GSS DLF ne hanno confermato il collegamento con il "Sifone della Sabbia". A monte, l'acqua del torrente proviene da una galleria freatica singenetica, totalmente allagata in periodo di piena; il sifone a monte può comunque essere raggiunto anche seguendo un percorso ad anello (controllato dalla fratturazione) ormai fossile: in più punti sono presenti riempimenti ciottolosi cementati e successivamente erosi (i ciottoli sono ricoperti da una patina di manganese). Sul fondo di alcune nicchie, poste a circa un metro di altezza, sotto una sottile crosta concrezionale si trovano lembi di depositi sabbiosi; si notano anche fenomeni di concrezionamento della volta e delle pareti. Oltrepassato il  laghetto del "Bidè" si perviene a un trivio, dove voltando a sinistra e percorrendo una galleria singenetica si raggiunge il sifone a monte, superato dal GSS DLF tramite una lunga operazione di pompaggio che consentì di esplorare, al di là, il "Ramo Caronte", una galleria semifossile di un centinaio di metri, che termina su un nuovo sifone, troppo stretto per essere esplorato con tecniche subacquee. Dal trivio, risalendo invece a destra, si accede al "Ramo delle Donne", condotta  fossile su un livello superiore, che presenta bassi passaggi, spesso ristretti dal notevole concrezionamento, alternati ad ambienti più vasti, e si immette in una galleria molto ampia. La "Sala degli Orsi", uno slargo nel punto più alto, con un deposito sabbioso, deve il nome al  rinvenimento di alcuni crani (e altri resti ossei) di Ursus Spelaeus, effettuato dal GSS DLF nei primi momenti dell'esplorazione (i reperti saranno presto visibili in una struttura espositiva del Comune di Bardineto). La galleria prosegue poi in forte discesa, in un tratto interessato da fenomeni clastici, con massi anche di grandi dimensioni; al di sotto scorre stagionalmente l'acqua del torrente, che proviene dalla galleria del "Sifone della Sabbia" e che più avanti allaga spesso completamente (per un centinaio di metri) la parte terminale della grotta. Anche in periodi di massima secca l'acqua si ritira solo parzialmente ed e quindi perenne un tratto sifonante: svuotando dall'esterno questo sifone, il Gruppo Speleologico Savonese DLF poté cosi iniziare le esplorazioni e gli studi nel Buranco di Bardineto. Ovviamente nella Preistoria l’orso speleo non accedeva alla grotta dall'imbocco inferiore, sicuramente allagato anche durante le glaciazioni wurmiane: gli studi condotti hanno consentito di appurare che era allora ancora percorribile l'imbocco del "Buranco da Sabbia", la risorgenza fossile del complesso carsico, circa 10-15 metri più alta dell'attuale risorgenza attiva. Proprio nella galleria del Buranco da  Sabbia durante l'esplorazione e stato rinvenuto un dente di rinoceronte, fluitato dall'esterno, e le ricerche effettuate successivamente hanno portato alla sensazionale scoperta di utensili usati dall'uomo preistorico circa 100.000 anni fa: sono i reperti di industria umana più antichi dell'intera Valle Bormida. Dal punto di vista speleogenetico vi e una correlazione tra le gallerie orizzontali della grotta e i terrazzi vallivi, che (in base a considerazioni geomorfologiche) si sono formati contemporaneamente: ogni galleria si sviluppò prevalentemente nella zona prossima al locale livello piezometrico dell'acqua di fondo, ma anche più in profondità si ebbe uno sviluppo embrionale di condotte. In una successiva fase vadosa le acque dovevano scorrere in un'unica galleria di grandi dimensioni e pendenza regolare; contemporaneamente si  formava al di sotto un nuovo livello di gallerie freatiche. Ogni abbassamento del livello di base, dovuto all'erosione della Bormida, causava un progressivo inghiottimento del torrente sotterraneo, mentre  la maggiore portata idrica fluiva nel sottostante livello freatico. L'intero ciclo si dovette ripetere ad ogni abbassamento del livello di base e sarebbe ancora in corso nelle gallerie oggi tuttora attive: vari indizi (non ultimi i lavori di pompaggio condotti dal GSS DLF) concorrono a far ritenere che sotto di esse vi siano gallerie freatiche, dove vi sarebbe una circolazione idrica anche in periodo di magra. Il Buranco di Bardineto è attualmente la più vasta grotta della Valle Bormida: i poliedrici aspetti che la cavità sotterranea presenta (idrologici, geomorfologici, speleogenetici, paletno-paleontologici) contribuiscono a configurarla come uno dei complessi carsici più interessanti della Liguria. Proprio per l'importanza delle testimonianze preistoriche che la grotta custodisce, l'accesso non è libero, ma è regolamentato dal Comune: un cancello ne occlude l'ingresso superiore e la visita è possibile prendendo accordi con il Gruppo Speleologico Savonese DLF.

Storia delle esplorazioni  
Gli abitanti di Bardineto conoscono da sempre la grotta che si apre a circa 800 metri di distanza dal paese e la chiamano Buranco: in primavera o in occasione di forti precipitazioni ne scaturisce un torrentello stagionale (il Rio Buranco, affluente della Bormida, già citato dal Maineri), che l'adiacente strada provinciale per Calizzano scavalca con un ponticello. Naturalmente la cavità fu subito notata dai primi speleologi che si interessarono del carsismo dell'Alta Val Bormida: compare infatti nel "Secondo elenco catastale delle Grotte della Liguria", pubblicato nel 1961, al numero 364, con la denominazione di "Risorgenza di Bardineto". Per un quarto di secolo, però, la grotta  risultò inaccessibile pure agli speleologi: percorsi pochi metri la  volta della galleria iniziale si abbassava inesorabile chiudendosi sull'acqua di uno stretto sifone, impraticabile con tecniche subacquee, Il Gruppo Speleologico Savonese DLF iniziò a interessarsi più a fondo della "Risorgenza di Bardineto", nell'ambito di una più generale analisi dell'idrologia carsica locale, accertando le scarse possibilità esplorative di prospezioni subacquee e la scarsa rilevanza della prolungata siccità di quell'anno sul livello idrico del sifone, così Giorgio decise di approfittare di un nuovo periodo siccitoso per tentare un'operazione di pompaggio dell'acqua del sifone iniziale: dopo i primi tentativi, falliti a causa dell'attrezzatura inadeguata, affinò tecniche e materiali, si procurò una nuova pompa, piccola ma adeguata, e per diverse settimane fu impegnato dal venerdì sera alla domenica nel lavoro di pompaggio, a dir la verità con scarso aiuto da parte degli altri componenti del Gruppo. Nella mattinata del 26 ottobre, mentre l'acqua piano piano calava, un violento spiffero di aria fredda cominciò a fuoriuscire tra la volta rocciosa e l'acqua: il Buranco di Bardineto rivelava così la sua presenza. Solo nel pomeriggio il livello dell'acqua era calato a sufficienza per consentirci di attraversare il lago, lungo e stretto, e iniziare l'esplorazione: l'ora era ormai tarda e ci limitavamo a percorrere un paio di centinaia di metri di gallerie, fino alla Sala Orsi, dove rinvenivamo subito le prime testimonianze di una  frequentazione della grotta da parte dell' Ursus Spelaeus, in epoche remote. Se era già stato affascinante essere i primi a penetrare con una tecnica certo non molto usuale in un mondo ancora sconosciuto, ma fantasticato da molti, data l'estrema vicinanza dell'ingresso di questa cavità alla strada e all'abitato, fin dall'inizio la grotta presentava al GSS DLF la sua realtà poliedrica di interessantissimo complesso idrogeologico e di custode di preziose testimonianze del passato.  Nell'arco di due mesi ogni fine settimana ci ritrovammo a Bardineto a continuare i pompaggi per poter proseguire solo la domenica l'esplorazione: nel corso della settimana infatti il sifone veniva alimentato dall'interno (sia pure debolmente) e si richiudeva. L’avventura quindi si rinnovava, ma contemporaneamente si tracciava il rilievo topografico e si effettuavano le prime osservazioni scientifiche e geomorfologiche.
La presenza di alcune foglie nel "Salone  President", alla base di un camino, nel punto allora più lontano dall'ingresso, faceva subito ipotizzare la possibile esistenza di un altro accesso alla grotta: sovrapponendo il rilievo interno alla cartografia superficiale localizzavamo all'esterno, un'area ristretta dove concentrare le ricognizioni che ci permettevano presto di reperire un anfratto, occluso da pietre e argilla. Con due giorni di lavoro liberavamo il passaggio, accedendo a un insieme di gallerie che, tramite un pozzo di 7 metri, si collegavano con la parte inferiore della grotta già esplorata. Ora l'avventura era davvero finita: svincolato l'accesso dallo straordinario lavoro d'equipe necessario ogni volta per svuotare il sifone, l'esplorazione si riduceva alla normalità ed era ormai  possibile procedere con meno fretta e più precisione nella ricerca e nella documentazione scientifica. Dopo un primo tentativo infruttuoso, con una lunga opera di nuovo pompaggio (eseguita questa volta con pompe  elettriche, grazie all'allestimento nell’estate precedente di una linea elettrica esterna ed interna) durato ininterrottamente per una decina di giorni, riuscimmo a svuotare parzialmente il terzo sifone a monte e a percorrere una galleria di un centinaio di metri che si arresta su un altro sifone (il quarto); si é tentato inutilmente di svuotare pure quest'altro sifone, che presumibilmente si trova ormai al livello della falda freatica. Nell'autunno, si sono collegati esplorativamente, per via subacquea, il "Sifone del Pantano" e il "Sifone della Sabbia" (il secondo sifone). Il Buranco di Bardineto é stato pure oggetto di una prima campagna di scavi archeologici condotti dal nostro Gruppo in collaborazione con l'Università di Genova Dipartimento di Scienze della Terra) e con l'autorizzazione del Ministero dei Beni Culfurali; i lavori, eseguiti dal GSS DLF sotto la direzione di un proprio socio, geologo e paleontologo, hanno interessato la cosiddetta "Sala Orsi", dove sono stati recuperati alcuni teschi di Ursus Spelaeus, oltre a poche parti dello scheletro. Poco lontano avevamo precedentemente rinvenuto un dente di rinoceronte ("Dhinocerinus di Merck"), ovviamente fluitato dall'esterno. Altre ricerche sono state condotte in corrispondenza dell'antico ingresso fossile della grotta, comunemente da noi denominato "Buranco da Sabbia", con risultati decisamente interessanti dal punto di vista scientifico. Nelle parti alte della grotta si é invece eseguita una raccolta superficiale di campioni di ossa appartenenti ad ovini, che sono tuttora in fase di studio per la classificazione e la datazione, e frammenti di ceramica tardo-antica (presumibilmente caduti in grotta da un anfratto oggi occluso). In questo campo le ricerche sono appena iniziate e saranno proseguite negli anni futuri; nel frattempo, di comune accordo con l'Amministrazione Comunale di Bardineto, la Comunità Montana Alta Val Bormida e la Soprintendenza Archeologica della Liguria, si sta lavorando per procedere all'istituzione e alla realizzazione a Bardineto di una struttura espositivo-museale geo-paleontologica e del territorio.



Grotta disostruita, esplorata, studiata e rilevata dal Gruppo Speleologioco Savonese DLF.
Ultimo aggiornamento: 08/04/2024
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